mercoledì, novembre 14, 2007

:::genova: la nostra storia:::


Il processo di Genova dal punto di vista concreto, materiale, comporta la prospettiva di pene detentive per 225 anni di carcere. Da sei a sedici anni per una rappresentanza, una piccola campionatura, di quelle centinaia di migliaia che si opposero alla illegittimità del G8 nel 2001. Ma più di ogni altra cosa la requisitoria dei pm Canepa e Canciani rappresenta la determinazione a riscrivere la storia a uso e consumo del potere. Perché la storia di Genova è la nostra storia.
Rendere la manifestazione del 17 novembre un momento non simbolico, non una sorta di commemorazione, ma farne una scadenza effettivamente rappresentativa della complessità senza precedenti che diede vita alle giornate di sei anni fa è indispensabile per tutelare il destino giudiziario di 25 capi espiatori. Davanti all’aberrazione delle richieste dell’accusa deve costituire uno strumento forte di pressione e orientamento nei confronti del tribunale e contestualmente di paralisi dell’operazione di riscrittura della storia che il potere, con grosse difficoltà, sta tentando di portare avanti.

Una storia che ha una svolta decisiva nelle giornate di Seattle del novembre 1999, quando la terza riunione del WTO, l’organizzazione mondiale del commercio, fallisce rovinosamente in ragione dell’opposizione che una moltitudine senza precedenti mette in campo, utilizzando come arma esclusivamente i propri corpi. Smascherando la falsificazione che consente a pochi potenti di riunirsi periodicamente per varare regole a loro piacimento e vantaggio, decidendo e influenzando l’andamento delle politiche e dei mercati mondiali. Svelando un sistema criminale di regole inique, che opera con procedure assolutamente antidemocratiche attraverso il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, una esigua congrega di amministrazioni nazionali a vantaggio delle società transnazionali e a discapito delle genti e dei paesi più poveri. Il conflitto sociale che affolla strade e piazze, che attacca nei simboli e nella materia i luoghi del governo e del dominio mette in corto circuito la regia della concertazione capitalistica, che riesce solo a consegnare agli eserciti e alle polizie la gestione di questo nuovo e originale conflitto.

Quest’eco informa le chiavi di lettura e le pratiche di opposizione dei movimenti europei in occasione della riunione del Fondo Monetario Internazionale a Praga, nel settembre 2000. Un movimento enorme e composito assedia i delegati attraverso pratiche di disobbedienza e di resistenza contro forze di polizia ormai trasformate in esercito da guerra interna. Gli strumenti di difesa si aggiornano: dai caschi, agli scudi, ai gommoni, alle protezioni più disparate.
A Napoli, nel marzo 2001, il Global Forum sulla e-governance si conclude con un’anticipazione in sedicesima di ciò che attende i movimenti a Genova : polizia, carabinieri e guardia di finanza creano una vera e propria trappola per i manifestanti, li aggrediscono con cariche e lacrimogeni scatenandosi in una caccia all’uomo che dura ore, ostacolando i soccorsi ai feriti persino negli ospedali, infliggendo ai fermati violenze fisiche e psicologiche.
A Goteborg, nel giugno successivo, la contestazione del Consiglio Europeo vede nuovamente in campo pratiche di disobbedienza volte a delegittimare il vertice. Nuovamente la polizia si accanisce violentemente contro manifestanti inermi: un ragazzo viene ferito gravemente alla schiena da un colpo di pistola sparato da un agente.

Quello che è avvenuto a Genova lo sappiamo. L’esplosione di un movimento enorme e determinato a contestare i potenti in maniera radicale, unendosi e dando continuità a un movimento globale che da Seattle in avanti ha percorso tutto il mondo e l’Europa, ha segnato un’epoca, ha indicato una direzione. Un movimento che ha creato le basi per nuove esperienze e nuove pratiche di conflitto che hanno come risultato tangibile il cambio dei governi in America Latina; che ha fatto assumere la globalizzazione come il terreno da rovesciare per costruire la globalizzazione della comunicazione, della cooperazione, dei diritti.
Contro l’impero.
Da Genova è partito un modo nuovo di affrontare il terreno della democrazia, della lotta per la democrazia diretta contro quella fasulla che divora gli spazi della nostra vita: la democrazia della casta globale. Genova ha reso visibile il rifiuto di un sovrano determinato dal mercato e da questo autorizzato a decidere della vita e della morte di miliardi di persone in questo pianeta. Ha affrontato il tema del conflitto in maniera attuale, contemporanea, non caricaturale, non ideologica.

Ora la sentenza del tribunale può decidere di seppellire sotto due secoli di galera una manciata di quei soggetti che ha sedimentato nella coscienza collettiva il diritto alla resistenza contro la violenza omicida delle polizie/esercito. Ora questa determinazione giudiziaria si rivolgerà a tutti i movimenti in lotta, dalla Val di Susa a Vicenza passando per i centri di permanenza temporanea sparsi per tutto il paese.
Per questo è imperativo essere a Genova il 17 novembre.
Per tutti quelli che c’erano il 19, 20, 21 luglio del 2001.
Per tutti coloro che credono che cambiare il mondo non solo sia giusto, ma sia doveroso e possibile.
Per tutti quelli che lottano per i loro bisogni, nei posti di lavoro, nei quartieri, nelle università, nelle scuole.
Per tutti quelli che si battono contro la devastazione dei territori e dei beni comuni.
Per tutti quelli che intendono impedire che vengano chiusi gli spazi di movimento di oggi e di domani.
Per tutti c’è ancora qualcosa da fare prima del 17.
Allargare la partecipazione.
Garantire il diritto a manifestare.
Garantire il diritto a raggiungere Genova.

Liberitutti




da globalproject.info







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